La sent. “Van Gend” e gli “effetti diretti”

 

Il caso da cui prendere le mosse per capire gli “effetti diretti” che possono essere prodotti da norme comunitarie poste da atti che non hanno “diretta applicabilità” (non sono regolamenti CE) è la  sent. Van Gend :

 

"LA PRIMA QUESTIONE … CONSISTE NELLO STABILIRE SE L' ARTICOLO 12 DEL TRATTATO ABBIA EFFICACIA IMMEDIATA NEGLI ORDINAMENTI INTERNI DEGLI STATI MEMBRI, ATTRIBUENDO AI SINGOLI DEI DIRITTI SOGGETTIVI CHE IL GIUDICE NAZIONALE HA IL DOVERE DI TUTELARE."

Bisogna esaminare l’ex art. 12 Tr., il quale diceva:

Gli Stati  membri si astengono dall'introdurre tra loro nuovi dazi doganali all'importazione e all'esportazione o tasse di effetto equivalente e dall'aumentare quelli che applicano nei loro rapporti commerciali reciproci.”

Il problema che si pone la CG è se l’art. 12 possa creare diritti soggettivi in capo ai singoli, se c’è una base giuridica “sufficiente” perché i singoli possano avanzare una pretesa al giudice nazionale. Dice la CG:

"PER ACCERTARE SE LE DISPOSIZIONI DI UN TRATTATO INTERNAZIONALE ABBIANO TALE VALORE, SI DEVE AVER RIGUARDO ALLO SPIRITO, ALLA STRUTTURA ED AL TENORE DI ESSO."

Possiamo esaminare attraverso quali argomenti la CG cerchi di ricostruire lo “spirito” e la “struttura” del Trattato. Il suo obiettivo è di dimostrare che il trattato non è il “solito” atto internazionale che proviene dagli ed è destinato agli stati. È qualcosa di diverso:

"LO SCOPO DEL TRATTATO CEE, CIOE L' INSTAURAZIONE DI UN MERCATO COMUNE IL CUI FUNZIONAMENTO INCIDE DIRETTAMENTE SUI SOGGETTI DELLA COMUNITA, IMPLICA CHE ESSO VA AL DI LA DI UN ACCORDO CHE SI LIMITASSE A CREARE DEGLI OBBLIGHI RECIPROCI FRA GLI STATI CONTRAENTI."

Ho provato ad isolare gli argomenti impiegati dalla CG. Il primo argomento a dimostrazione della “diversità” del Trattato:

"È CONFERMATO DAL PREAMBOLO DEL TRATTATO IL QUALE, OLTRE A MENZIONARE I GOVERNI, FA RICHIAMO AI POPOLI".

Un argomento debole quello che si basa su un preambolo: cosa siano i preamboli è discusso, ma se il preambolo sta prima del testo normativo, vuol dire che non è un testo normativo; però può servire alla sua interpretazione. Quello che vuole dire la Corte è che, sebbene il trattato nasca nella dimensione I, quella del diritto internazionale, nel quale solo gli stati hanno “soggettività”, tuttavia esso – quasi a segnare la sua “particolarità” – si rivolge anche ai “popoli”, secondo uno schema che è del tutto estraneo alla dimensione I e, invece, assai consueto alle carte costituzionali della dimensione II: è solo un argomento “introduttivo”, ma di una certa eleganza, ed utile ad introdurre, appunto, un ragionamento più complesso. Ciò che vuole dimostrare la CG è confermato

"PIU CONCRETAMENTE ANCORA, DALLA INSTAURAZIONE DI ORGANI INVESTITI ISTITUZIONALMENTE DI POTERI SOVRANI DA ESERCITARSI NEI CONFRONTI SIA DEGLI STATI MEMBRI SIA DEI LORO CITTADINI"

L’argomento sottolinea che lo spostamento di poteri sovranità dallo stato alla comunità si porta dietro qualche caratteristica del potere sovrano, il potere di “imporre” obblighi ai cittadini, e non solo agli stati. È un argomento di carattere generale e sistematico.

"VA POI RILEVATO CHE I CITTADINI DEGLI STATI MEMBRI DELLA COMUNITA COLLABORANO, ATTRAVERSO IL PARLAMENTO EUROPEO E IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE, ALLE ATTIVITA DELLA COMUNITA STESSA"

Siamo appena al 1962, e l’elezione diretta del PE è ancora lontana (e infatti il PE è messo sullo stesso piano del CES, così come era tipico della “procedura di consultazione” esaminata in precedenza). L’argomento è dunque ancora piuttosto debole.

"OLTRACCIO', LA FUNZIONE ATTRIBUITA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DALL' ART. 177, FUNZIONE IL CUI SCOPO E DI GARANTIRE L' UNIFORME INTERPRETAZIONE DEL TRATTATO DA PARTE DEI GIUDICI NAZIONALI, COSTITUISCE LA RIPROVA DEL FATTO CHE GLI STATI HANNO RICONOSCIUTO AL DIRITTO COMUNITARIO UN' AUTORITÀ TALE DA POTER ESSER FATTO VALERE DAI LORO CITTADINI DAVANTI A DETTI GIUDICI"

 

Questo argomento è forse ancora generico, ma è già più tecnico e merita di essere esaminato con attenzione. L’ex art. 177 (ora 234) non è così chiaro nello stabilire il rapporto tra giudici nazionali e CEE. La CG si pronuncia sull’interpretazione del trattato, ruolo tipico degli organi giudiziari inseriti nelle organizzazione internazionali. Il secondo comma dell’art. 177 dice infatti: “La Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, a) sull'interpretazione del presente trattato…L’ipotesi è che, nel corso di un giudizio, il giudice nazionale si interroghi sull’interpretazione da dare ad una determinata disposizione del trattato: da questo ipotesi di partenza alla conclusione per cui il trattato riguarderebbe direttamente i cittadini passa però molta strada. Potrebbe benissimo trattarsi di questo: nel corso di un giudizio sorge un problema in merito all’interpretazione di un atto interno di attuazione del trattato o del diritto derivato, per cui al giudice può servire di conoscere come il trattato o il diritto derivato debba essere interpretato al solo fine di adeguarvi l’interpretazione della norma nazionale, che è quella che deve applicare nel giudizio. Per esempio, trovando scritta nella legge nazionale di attuazione della direttiva sugli appalti pubblici l’espressione “stazione appaltante”, il giudice può porsi il problema di capire se in tale locuzione rientri anche, per es., la impresa privata che opera come concessionario di un servizio pubblico: per questa ragione si rivolge alla CG per chiedere la corretta interpretazione della disposizione comunitaria. Ma in questo caso il giudice sta operando con norme interne, pur dovendole applicare (e prima interpretare) alla luce degli atti di un altro ordinamento, di cui esse sono attuazione. Siamo quindi all’interno dello schema classico delle separazione degli ordinamenti, di una netta cesura tra la dimensione I e la dimensione II. Siccome è interesse di ogni organizzazione internazionale che il trattato abbia un’interpretazione e un’applicazione omogenea in tutti gli stati che ne fanno parte, ecco che esse assai spesso si dotano di un “giudice” incaricato appunto di “monopolizzare” l’interpretazione e di risolvere gli eventuali conflitti in merito ad essa. Ma ciò non significa affatto ancora che il trattato si applichi “direttamente” ai cittadini e fondi perciò diritti soggettivi in capo ai singoli.

"LA COMUNITA COSTITUISCE UN ORDINAMENTO GIURIDICO DI NUOVO GENERE NEL CAMPO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, A FAVORE DEL QUALE GLI STATI HANNO RINUNZIATO, ANCHE SE IN SETTORI LIMITATI, AI LORO POTERI SOVRANI, ORDINAMENTO CHE RICONOSCE COME SOGGETTI, NON SOLTANTO GLI STATI MEMBRI MA ANCHE I LORO CITTADINI"

Questo è il pensiero della CG. Ma l’originalità dell’ordinamento CE è “predicata”, asserita, più che dimostrata dalla argomentazione svolta dalla CG. In effetti le obiezioni dei governo olandese e belga si basavano su un’interpretazione tutt’altro che sconsiderata del testo del trattato, la quale moveva da una precisa individuazione della sua “natura” di trattato internazionale, si basava cioè su ciò che di solito, per tradizione, i trattati sono per la loro stessa origine.

"PERTANTO IL DIRITTO COMUNITARIO, INDIPENDENTEMENTE DALLE NORME EMANANTI DAGLI STATI MEMBRI, NELLO STESSO MODO IN CUI IMPONE AI SINGOLI DEGLI OBBLIGHI, ATTRIBUISCE LORO DEI DIRITTI SOGGETTIVI."

Questo è un argomento molto sottile e forse vincente: perché tocca un tema che non viene mai discusso, il tema della legittimazione dell’ordinamento comunitario, la giustificazione della sua capacità di farsi rispettare. La risposta della CG è molto intelligente e molto ricca di conseguenze. Se l’ordinamento CE pone obblighi e divieti a carico di tutti, compresi i cittadini, procura in capo ad essi anche possibili restrizioni dei diritti e magari ne danneggia gli interessi economici, allora a ciò deve corrispondere anche un contrappeso, cioè l’attribuzione di posizioni attive, di risorse, di diritti.

"SI DEVE RITENERE CHE QUESTI (i diritti soggettivi) SUSSISTANO, NON SOLTANTO NEI CASI IN CUI IL TRATTATO ESPRESSAMENTE LI MENZIONA, MA ANCHE COME CONTROPARTITA DI PRECISI OBBLIGHI IMPOSTI DAL TRATTATO AI SINGOLI, AGLI STATI MEMBRI O ALLE ISTITUZIONI COMUNITARIE"

Far derivare “diritti” dal trattato rappresenta la contropartita che offre equilibrio e legittimazione alla stessa CE.

 

Entriamo in un’altra linea argomentativa, perché il problema che si pone adesso è che cosa deve essere scritto nei trattati perché essi possano essere intesi come base giuridica sufficiente su cui si possano fondare diritti dei singoli soggetti privati (slide 2 - Gend 3):

"VA RILEVATO CHE L' ART. 9 - SECONDO IL QUALE LA COMUNITA E FONDATA SU UN' UNIONE DOGANALE - SANCISCE COME PRINCIPIO FONDAMENTALE IL DIVIETO DI… DAZI E TASSE.
IL DISPOSTO DELL' ART. 12 PONE UN DIVIETO CHIARO E INCONDIZIONATO CHE SI CONCRETA IN UN OBBLIGO NON GIA DI FARE, BENSI' DI NON FARE . A QUESTO OBBLIGO NON FA RISCONTRO ALCUNA FACOLTA DEGLI STATI DI SUBORDINARNE L' EFFICACIA ALL' EMANAZIONE DI UN PROVVEDIMENTO DI DIRITTO INTERNO.

IL DIVIETO DELL' ART. 12 É PER SUA NATURA PERFETTAMENTE ATTO A PRODURRE DIRETTAMENTE DEGLI EFFETTI SUI RAPPORTI GIURIDICI INTERCORRENTI FRA GLI STATI MEMBRI ED I LORO AMMINISTRATI."

Già nella sent. Costa abbiamo visto un riferimento alla “perfezione” del divieto posto a carico dello Stato:

"A NORMA DELL' ART . 53, GLI STATI S' IMPEGNANO, FATTE SALVE LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO, A NON INTRODURRE NUOVE RESTRIZIONI ALLO STABILIMENTO NEL LORO TERRITORIO DI CITTADINI DEGLI ALTRI STATI MEMBRI . L' OBBLIGO IN TAL MODO ASSUNTO DAGLI STATI SI RISOLVE GIURIDICAMENTE IN UNA SEMPLICE ASTENSIONE, NON E ACCOMPAGNATO DA ALCUNA CONDIZIONE NE SUBORDINATO, NELLA SUA ESECUZIONE O NEI SUOI EFFETTI, ALL' EMANAZIONE DI ALCUN PROVVEDIMENTO DA PARTE DEGLI STATI O DELLA COMMISSIONE . ESSO E QUINDI COMPLETO, GIURIDICAMENTE PERFETTO E, DI CONSEGUENZA, ATTO A PRODURRE EFFETTI DIRETTI NEI RAPPORTI FRA GLI STATI MEMBRI ED I LORO CITTADINI"

La sent. Costa è successiva e perciò un po’ più ricca e completa nell’argomentazione. Il divieto può produrre effetti diretti perché è strutturalmente semplice da attuare: è di per sé auto-applicativo, non richiedendo ulteriori norme di attuazione.

L’art. 12 pone un divieto: il fatto che indichi gli Stati come soggetti dell’obbligo di non fare, non significa affatto che il privato non sia interessato a far valere questo obbligo negativo. Dice ancora la sent. Van Gend

"[IL FATTO CHE] GLI ART. 169 E 170 DEL TR. CONSENTANO ALLA COMMISSIONE E AGLI STATI MEMBRI DI CONVENIRE DAVANTI ALLA CORTE LO STATO CHE SIA VENUTO MENO AI SUOI OBBLIGHI NON IMPLICA INFATTI CHE AI SINGOLI SIA PRECLUSO DI FAR VALERE GLI OBBLIGHI STESSI DAVANTI AL GIUDICE NAZIONALE, PRECISAMENTE COME QUANDO IL TRATTATO FORNISCE ALLA COMMISSIONE I MEZZI PER IMPORRE AGLI AMMINISTRATI L' OSSERVANZA DEI LORO OBBLIGHI, NON ESCLUDE CON CIO' LA POSSIBILITA CHE, NELLE CONTROVERSIE FRA SINGOLI DAVANTI AD UN GIUDICE NAZIONALE, QUESTI POSSANO FAR VALERE LA VIOLAZIONE DI TALI OBBLIGHI."

Qui si ragiona su un doppio binario: il sistema è basato sull’ex art. 169, che impernia sulla Commissione il compito di vigilare sull’attuazione del trattato; ma il sistema è basato anche sul rinvio pregiudiziale, perché attribuisce ai privati il potere di ricorrere ai giudici nazionali per far valere quei diritti che si fondano su norme comunitarie anche nel caso in cui lo stato membro non le abbia attuate. Che il privato possa agire contro lo Stato inadempiente costituisce un canale alternativo alla procedura d’infrazione messa in moto dalla Commissione. Il privato, l’impresa danneggiata per esempio, ha così due diversi canali per chiedere il rispetto del diritto comunitario: quello di tipo amministrativo, attraverso un esposto alla Commissione a cui può chiedere di iniziare una procedura d’infrazione; ma anche la via giurisdizionale, chiedendo al giudice nazionale – se ce ne sono i presupposti che poi vedremo – di assicurare direttamente i benefici che il diritto comunitario ha previsto. I cittadini diventano parte attiva dei meccanismi che assicurano l’effettività del diritto comunitario. In fondo è ciò che accade nell’ordinamento interno: io, privato, posso agire contro l’opera edilizia abusiva compiuta dal mio vicino attraverso un esposto che pone in moto l’amministrazione comunale, oppure, se ricorrono i presupposti più ristrettivi previsti dall’ordinamento, posso agire direttamente davanti al giudice chiedendo, per es., un provvedimento d’urgenza o proponendo un’azione possessoria.

Lo stesso schema si riproduce nell’ordinamento comunitario. Non c’è neppure bisogno di adire la CG: è il giudice nazionale che può far valere direttamente il diritto comunitario, ricorrendo alla CG solo laddove la normativa comunitaria non sia, in relazione al caso di specie, sufficientemente chiara. Il giudice può avere un dubbio sul significato esatto di una disposizione così come può avere un dubbio sulla compatibilità con essa di una determinata disciplina nazionale.

Come spesso accade nel ragionamento dei giuristi, anche il ragionamento della CG si chiude con un argomento ab absurdo: esso rafforza “in negativo” l’interpretazione proposta e argomentata “in positivo”, dimostrando come, seguendo l’interpretazione contraria, si andrebbe incontro a conseguenze paradossali o inaccettabili:

"OVE LE GARANZIE CONTRO LA VIOLAZIONE DELL' ART. 12 DA PARTE DEGLI STATI MEMBRI VENISSERO LIMITATE A QUELLE OFFERTE DAGLI ART. 169 E 170, I DIRITTI INDIVIDUALI DEGLI AMMINISTRATI RIMARREBBERO PRIVI DI TUTELA GIURISDIZIONALE DIRETTA. INOLTRE, IL RICORSO A DETTI ARTICOLI RISCHIEREBBE DI ESSERE INEFFICACE QUALORA DOVESSE INTERVENIRE SOLO DOPO L' ESECUZIONE DI UN PROVVEDIMENTO INTERNO ADOTTATO IN VIOLAZIONE DELLE NORME DEL TRATTATO. "

Proprio per questa ragione, quando la Commissione agisce per una procedura d’infrazione, per esempio, per illegittimi aiuti di stato, la sua lettera contiene sempre l’avviso di sospendere l’erogazione dei contributi, pena la restituzione.

"LA VIGILANZA DEI SINGOLI, INTERESSATI ALLA SALVAGUARDIA DEI LORO DIRITTI, COSTITUISCE D' ALTRONDE UN EFFICACE CONTROLLO CHE SI AGGIUNGE A QUELLO CHE GLI ART. 169 E 170 AFFIDANO ALLA DILIGENZA DELLA COMMISSIONE E DEGLI STATI MEMBRI."

Il ragionamento della Corte si concentra dunque su argomenti attinenti alla struttura delle disposizioni (il carattere preciso, chiaro e non condizionato dei divieti), che hanno il “formato” tipico delle regole che possono essere applicate dai giudici: in particolare è indispensabile che la regola che il giudice deve applicare non sia “condizionata” da ulteriori atti discrezionali, poiché il giudice non può sostituirsi al potere legislativo o a quello amministrativo attraverso scelte “discrezionali” che ad essi competono. La questione della diretta applicabilità va perciò vista anzitutto dal punto di vista del giudice, di ciò che è applicabile da questo nell’ambito dei suoi poteri istituzionali. Non possono avere “effetti diretti” ed essere perciò “direttamente applicabili” dal giudice quelle norme che non sono “autosufficienti”, auto-applicabili, perché implicano l’intervento del potere “politico” che ne completi la previsione. In seguito vedremo esattamente cosa questo significhi.